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Cappella San Severo – Napoli

La Cappella San Severo di Napoli fu costruita dal 1590 per contenere i monumenti funerari della famiglia de’ Sangro, principi di Sansevero.

La fase decorativa più significativa fu quella voluta da Raimondo de’ Sangro, personaggio geniale e bizzarro, letterato, inventore e scienziato, legato alla cultura più sofisticata del pieno Settecento. In base a un suo progetto unitario la cappella oggi si presenta, senza modifiche, così come il principe Raimondo l’aveva concepita: un tempio della scultura, esaltazione dei nobili de’ Sangro tramite monumenti sepolcrali allegorici, simbolo delle virtù dei defunti.

Unico elemento pittorico è la volta affrescata nel 1749 da Francesco Maria Russo con la Gloria del Paradiso, mentre protagonisti assoluti dell’ambiente sono i rilievi scultorei posti persino sull’altare maggiore, luogo solitamente occupato da un dipinto. Raimondo, per realizzare i monumenti funebri, ricchi di simbolismi e allegorie, commissiona il lavoro ad Antonio Corradini (1668-1752), scultore venero affermato in tutta Europa; questi. però, sopraggiunta la morte, riuscì a realizzare solo il sepolcro della madre del committente raffigurante la virtù della Pudicizia.

I restanti monumenti sono opera del genovese Francesco Queirolo (1704-1762), e dei napoletani Francesco Celebrano (1729-1814) e Giuseppe Sanmartino (1720-1793), che proseguono il lavoro rispettando l’idea del progetto iniziale.


IL CRISTO VELATO

L’opera più celebre della cappella rappresenta Cristo deposto dalla Croce avvolto nel sudario. Giuseppe Sanmartino, tra i maggiori artisti napoletani del pieno Settecento e abile modellatore di presepi, da vita a una scultura di grande spessore naturalistico.

In realtà la scultura era collocata in un ambiente sotterraneo della cappella: posto in penombra, la suggestione naturale del velo sudario che ricopre il corpo del Cristo doveva risultare ancora più forte. Il Cristo, disteso su un materasso e tre soffici guanciali, è ricoperto da un sottile velo che evidenzia tutti i suoi particolari anatomici; accanto al cadavere la corona di spine, la tenaglia e un chiodo completano l’iconografia. L’idea, sublime e classica del velo che ricopre un corpo nudo, è trattata da Sanmartino con estremo verismo ottenuto dal corpo di Cristo, sofferente e translucido, con il capo abbandonato, dai particolari delle mani sottili martoriate dai chiodi e, soprattutto, dall’effetto estremamente reale del sudario che si attacca sulla pelle.

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